
L’aratura è una pratica agricola storica, che in passato ha permesso di coltivare terreni di ogni tipo.
Tuttavia, le dinamiche di agricoltura moderna l’hanno trasformata in un processo che punta tutto alla velocità di esecuzione e alla totale omogeneizzazione del terreno, a discapito della sua salute.
Infatti l’aratura viene svolta per garantire la pulizia del terreno dai residui colturali, per controllare le infestanti e per arieggiare il terreno: ma i lati negativi sono molti.
Danni dovuti all’aratura
Arare un campo lo rende più omogeneo, a discapito di molte altre caratteristiche. Ecco alcuni dei danni che causa l’aratura:
- perdita dei microrganismi del suolo
- formazione della crosta di lavorazione
- ossidazione del carbonio organico
Come se non bastasse, l’aratura è molto dispendiosa: per arare un ettaro di terreno si impiegano in media due ore e mezza di lavoro e circa 60 litri di gasolio.
Sempre di più si stanno affermando pratiche alternative di lavorazione minima del suolo, che puntano a lavorare solo nei primi cm di terreno senza rivoltare le zolle.
Addio aratura, esiste un’alternativa a tutto questo: l’utilizzo di humus di lombrico.
La decomposizione dei residui colturali
Con l’aratura si ottiene l’interramento dei residui colturali.
Ci aspettiamo che a questo interramento segua la loro decomposizione, ma in realtà questo non avviene quasi mai nei suoli agricoli. i
Il ribaltamento degli strati profondi del terreno espone all’aria e al sole i microrganismi del suolo, eliminandoli. Senza di essi, la decomposizione è praticamente azzerata.
In pratica, le lavorazioni pesanti hanno ridotto la capacità del suolo di decomporre la sostanza organica fresca.
Senza decomposizione dei residui colturali, il suolo non viene ricaricato di sostanza organica. Questo comporta un peggioramento di alcune proprietà del suolo:
- CSC (la capacità di scambio degli ioni nel terreno)
- aereazione
- permeabilità
- formazione di micorrize e simbiosi radicali
- aumento della salinità
- alcalinizzazione
Le conseguenze di questi squilibri sono poi visibili sulla coltura successiva, la quale avrà molto probabilmente delle carenze nutrizionali e una ridotta resistenza agli attacchi patogeni ed agli agenti atmosferici.
Perché investire inutilmente denaro, tempo e risorse a soccorrere una coltura che non vive su un suolo adeguato, quando si può intervenire direttamente alla radice del problema?
Aumentare la decomposizione naturale
L’humus di lombrico non è solamente un fertilizzante, ma è anche un’importante fonte di flora batterica per il terreno. Infatti contiene più di un miliardo e mezzo di microrganismi effettivi per grammo.
Un terreno che sia stato pesantemente lavorato dai macchinari può tornare fertile in una o due stagioni, grazie all’humus di lombrico.
Per ottenere i risultati migliori, consigliamo di utilizzare l’humus a vagliatura media, che darà sostanza organica a lento rilascio al terreno permettendo ai microrganismi di colonizzare il suolo.
Occorre interrare il prodotto a 10 cm di profondità. La dose minima è di 10 quintali ad ettaro, ma una dose di 20-30 quintali ad ettaro garantisce una migliore distribuzione del prodotto all’interno del suolo e la formazione di uno stock di sostanza organica ed elementi minerali.
Una volta eseguito l’interramento dell’humus, è ideale eseguire una bagnatura abbondante del terreno, per attivare i batteri che si sono incapsulati nelle spore per resistere al disseccamento: dopo qualche giorno, quando il terreno si è parzialmente asciugato, si può procedere con la semina o con il trapianto.
A fine coltura, non occorrerà più arare per seppellire i residui: come ci spiega questo articolo della rivista Il nuovo agricoltore, potranno essere lasciati sul campo o, laddove possibile, coperti da un telo o da una pacciamatura, per non intaccare il suolo.
I nuovi batteri del suolo cominceranno subito ad attaccare i residui, trasformandoli a loro volta in sostanza organica che nel tempo verrà stabilizzata ed umificata ulteriormente.
In questo modo, anche le proprietà del suolo miglioreranno.
Lombrichi: i nostri aratri naturali
Infine, non bisogna sottovalutare il lavoro di aratura naturale dei lombrichi!
In questo caso non stiamo parlando del lombrico da lettiera che utilizziamo noi, l’Eisenia fetida, bensì del lombrico comune (Lumbricus terrestris).
Il lombrico scava gallerie 24 ore al giorno, sette giorni su sette, senza fermarsi: lo fa perché ingerisce terra ricca di batteri e sostanza organica, assimilando alcune molecole nutritive come polisaccaridi, amminoacidi e lipidi.
Non a caso C. Darwin affermò che “prima che l’uomo inventasse l’aratro, il terreno è sempre stato arato dai lombrichi” e per miliardi di volte!
Una volta digerita la terra, restituisce una deiezione che è a sua volta molto fertile perché arricchita di ormoni, microrganismi e mucosa del lombrico.
Questo animale è divenuto sempre più raro nei suoli agricoli, proprio perché l’aratro meccanico distrugge le sue gallerie.
Riteniamo che non abbia senso che l’essere umano si incarichi del lavoro del lombrico, quando esso è disposto a svolgerlo in modo completamente gratuito.
I lombrichi sono attratti dai suoli fertili, perciò se arricchirete il vostro terreno di sostanza organica e soprattutto non lo lavorerete mai più in profondità, i lombrichi torneranno a lavorare per voi.
In poche parole, un suolo con sostanza organica è un suolo capace di rigenerarsi da solo.