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Cromatografia Circolare Su Carta: La Tecnica Che ‘Fotografa’ Il Suolo

Rappresentare il suolo con un grafico

Per descrivere la qualità di un suolo ci sono molti parametri che possiamo prendere in considerazione: il pH, la CSC, la quantità relativa dei microrganismi, la tessitura e, naturalmente, le analisi degli elementi minerali N-P-K.
I risultati di queste analisi vengono presentati con valori incolonnati, perciò può essere difficile farsi un’idea chiara di ciò che rappresentano. Per avere una restituzione visiva del nostro terreno, possiamo prendere in considerazione la lettura del cromatogramma, una figura circolare che si ottiene dall’applicazione della cromatografia circolare su carta.

Che cos’è un cromatogramma?

Un cromatogramma è un’immagine circolare che presenta elementi strettamente dipendenti dalle caratteristiche del suolo: sulla base di questa corrispondenza, è possibile ‘leggere’ il cromatogramma per ricavare molte informazioni sul suolo.
Questa particolare ruota si ottiene grazie alla separazione delle componenti solubili del terreno, che si distribuiscono sul foglio a seconda della loro mobilità. Una volta che queste componenti si sono fissate sul foglio, il cromatogramma è pronto per essere analizzato.
Il cromatogramma è tanto l’impronta digitale di un terreno, perché lo identifica e lo distingue da altri, quanto la fotografia di un preciso momento della sua evoluzione. Infatti, se le sue condizioni cambiano, dobbiamo aspettarci un cromatogramma diverso.

Come funziona la cromatografia?

Il principio di funzionamento della cromatografia circolare su carta si basa sulla differenza di mobilità delle varie componenti del suolo.

Ogni sistema pedologico è il risultato dell’interazione di minerali, materia organica e microrganismi: queste tre componenti vengono messe in evidenza sul cromatogramma.

Gli elementi minerali sono i meno mobili, perciò si troveranno sempre al centro del cromatogramma. In posizione immediatamente più esterna troveremo la materia organica e subito dopo le tracce lasciate dai microrganismi.
Questo movimento viene reso possibile dalla particolare carta che viene utilizzata per la cromatografia, la carta da filtro Whatman. Essa è particolarmente porosa e quindi le componenti la percorrono per capillarità.

Esistono due tipologie di carta da filtro Whatman: la n°1, più ruvida e quindi più difficile da attraversare e la n°4, più liscia. Delle due, la n°4 è la più indicata per eseguire le prime cromatografie, dal momento che l’immagine che restituisce è più nitida.

Preparare una cromatografia

Per ottenere un buon cromatogramma, è importante che il campione sia quanto più omogeneo possibile.

Una buona omogeneità si può ottenere in due modi: campionando due o tre carotaggi di terreno in punti diversi dell’appezzamento, oppure scegliendo un punto solo per effettuare uno scavo profondo, dal quale si preleveranno campioni di suolo di peso uguale con un passo di campionamento di 10 cm (che significa a 0 cm, 10 cm, 20 cm e 30 cm di profondità).

Una volta ottenuto il campione, esso va macinato finemente e setacciato almeno a 1 mm per rimuovere le parti più grossolane. La cura con cui viene eseguita questa fase della lavorazione è cruciale per ottenere poi un cromatogramma attendibile.
Si ottiene quindi un vagliato, ovvero tutta la parte che ha passato il setaccio.

Tale materiale viene inserito in una soluzione all’1% di idrossido di sodio (NaOH) e acqua demineralizzata, e va agitato con forza per qualche minuto. A questo punto il preparato deve riposare per almeno 5 ore, in modo tale che le componenti reagiscano con il nostro idrossido di sodio. Trascorse queste 5 ore si effettua un nuovo rimescolamento e lo si lascia reagire altre 4 ore, al termine delle quali il preparato sarà pronto. Nel frattempo avremo imbevuto la carta Whatman con una soluzione di nitrato d’argento (AgNO3).

Questa sostanza fotosensibile è responsabile dell’evidenziazione cromatica delle componenti sulla carta.

Per eseguire una perfetta cromatografia, è necessario formare con la carta Whatman anche uno stoppino, che servirà per far scorrere gradualmente il preparato sulla carta.
L’incontro tra il preparato e la carta avviene posizionando il preparato in una capsula Petri e adagiandovi sopra il foglio di carta circolare, munito di stoppino.

Il liquido scorrerà prima attraverso lo stoppino e poi lungo il foglio: l’analisi sarà conclusa quando la macchia raggiungerà i 6 cm di raggio.

A questo punto la carta dev’essere lasciata asciugare per qualche giorno alla luce diffusa del sole o alla luce artificiale: evitiamo di lasciarla alla luce diretta del sole, perché ciò andrebbe ad alterare il nitrato d’argento.

La lettura del cromatogramma

Per effettuare una corretta lettura del cromatogramma occorre molta pratica ed esperienza: è necessaria una perfetta visione d’insieme, che consenta di evitare errori nell’interpretazione dei risultati.
D’altra parte possiamo riconoscere degli elementi molto generali, che sono evidenti anche senza allenamento.
Per prima cosa, si nota che il cromatogramma è formato da cerchi concentrici. Questi vengono definiti zone, e sono solitamente quattro:

  1. la zona centrale: qui possiamo osservare la dotazione minerale del terreno, ovvero la sua tessitura e la sua roccia madre;
  2. la zona interna: vengono evidenziati gli elementi derivanti dalla mineralizzazione della sostanza organica: N, P e K;
  3. la zona mediana: vediamo la quantità e la qualità della sostanza organica, così come la sua integrazione nella struttura del terreno. Se questa zona termina con una corona a punte ciò significa che la sostanza organica è stata lavorata dai microrganismi. La lunghezza delle punte indica la profondità di integrazione della sostanza organica. Sulle punte possono esserci delle nuvolette, che indicano la quantità di acidi umici e fulvici presenti nel campione.
  4. la zona esterna: si osserva il chiarore presente tra le punte della zona mediana, formato dai residui dell’attività microbiologica ed enzimatica.

Oltre alle zone, possiamo anche notare dei disegni radiali, che vanno dal centro fino all’estremità del cerchio. Questi elementi sono il risultato del veloce spostamento della componente microbiologica, perciò significa che tanto più sono marcati, quanto più i microorganismi sono abbondanti e attivi nel suolo.

La cromatografia integra, ma non sostituisce, le classiche analisi del suolo

A differenza delle analisi del pH, degli elementi e della CSC, la cromatografia circolare su carta è un’analisi qualitativa. Infatti il cromatogramma non descrive la realtà con la misurazione di un parametro, ma ha lo scopo di riportare graficamente, quanto più fedelmente possibile, la situazione del terreno.
Ciò significa che nessun professionista si basa esclusivamente sul cromatogramma per studiare un suolo: le altre analisi sono necessarie, perché non si può rinunciare alla loro oggettività.
Ciononostante, la cromatografia è una tecnica che torna utile per definire il quadro d’insieme che le singole analisi da sole non possono restituire altrettanto bene.
Ciò che troviamo sul cromatogramma non fa altro che dare un ‘volto’ a ciò che vediamo nelle tabelle numeriche delle analisi del nostro terreno: la prova di questo è che c’è sempre una corrispondenza tra ciò che si mostra sul cromatogramma e ciò che riportano le tabelle.

Cromatografia fai-da-te: da dove cominciare?

Se avete intenzione di provare ad effettuare da soli una cromatografia, è consigliabile partire da un libro di testo. Il più autorevole è sicuramente Chromatography Applied To Quality Testing di B. E. Pfeiffer, che ha numerose traduzioni e vari  testi di derivazione.
Se volete apprendere questa tecnica da chi la utilizza ogni giorno, potete visitare il sito di Deafal.

Si tratta di una ONG che si occupa di agricoltura organica e rigenerativa e mette al servizio degli agricoltori corsi, approfondimenti e nuove tecniche per prendersi cura del suolo; proprio grazie a uno di questi corsi è stato possibile realizzare questo articolo, sulla base di quanto appreso su questa tecnica.

 

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