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Lavorazione del suolo: a che cosa serve realmente? Una riflessione sull’attualità

La domesticazione degli animali e delle piante ci pone di fronte ad una grande responsabilità. Noi, che siamo i loro creatori, non siamo stati in grado di rendere autosufficienti queste creazioni.

Questa consapevolezza potrebbe esserci molto utile per affrontare le sfide ambientali che ci aspettano.

Facciamo un passo indietro, mentre passiamo le nozioni cardine dell’agricoltura al vaglio di un nuovo spirito critico, nato dall’esperienza della difficile situazione climatica attuale. 

Rivisitare ciò che abbiamo per migliorarlo

In molti articoli di questo blog abbiamo visto da vicino le più comuni pratiche che contraddistinguono l’agricoltura. Spesso esse hanno radici profonde, in quanto sono nate migliaia di anni fa da grandi osservatori della natura e sono state raffinate dalla pratica delle generazioni successive. 

Naturalmente, noi che viviamo in quest’epoca non ci possiamo permettere di scardinare tutte le conoscenze agronomiche conquistate finora, ma possiamo cercare di comprenderle – questo sì – per rivisitarle alla luce dei problemi attuali con lo scopo di metterci al riparo da essi. 

Noi sappiamo ad esempio quanto sia importante per la corretta germinazione dei semi la preparazione del terreno, la sua lavorazione e preventiva concimazione, così come la scelta del periodo adatto. 

Non dobbiamo però dimenticare che in natura tutto questo raramente avviene. Ciò che accade in natura (sotto i nostri occhi, tutti i giorni, anche se siamo troppo distratti per accorgercene) è una gara per la sopravvivenza dell’organismo più adatto al proprio ambiente. 

Lavorare con la natura e non contro di essa

Purtroppo, i nostri sforzi come agricoltori si sono sempre concentrati sulla sottomissione della natura alla nostra comodità, anziché concentrarsi sulla comprensione di essa al fine di trovare una ‘leva gentile’ per ottenere i risultati desiderati. 

Per di più, l’adozione della visione del campo agricolo come di materia da plasmare a nostro piacimento, non ha aiutato.

Viceversa, la visione del campo agricolo per quello che è, ovvero una tessera inevitabilmente incastonata in un sistema più ampio, avrebbe sicuramente portato a scelte differenti. 

Quale futuro hanno le pratiche agricole che conosciamo?

Questa riflessione ci porta al tema caldo di questo post, ovvero: quanto sono importanti le lavorazioni del terreno? Quanto possiamo permetterci di rinunciare ad esse, e quanto sono invece indispensabili per noi?

Per rispondere a questa domanda, abbiamo veramente bisogno di rivedere le nostre posizioni in modo profondo. 

Ad esempio: è davvero necessario rivoltare il terreno in zolle?

Se il nostro obiettivo è solo quello di ammorbidire il terreno per la semina, non sarebbe sufficiente lavorare un paio di centimetri, al massimo?

Dal momento che poi la maggior parte dei semi viene posata a bassa profondità, per garantire le giuste condizioni di ossigenazione, insolazione ed umidità, scavare più in profondità sembra superfluo. 

Lavorazioni meccaniche: più problemi che soluzioni?

Come se non bastasse, grazie alla ricerca scientifica siamo già a conoscenza di numerose conseguenze negative che queste pratiche hanno, ma sembra quasi che l’abitudine abbia intorpidito il buon senso. 

Naturalmente, molti attrezzi a traino meccanico possono essere sostituiti dalla propria controparte manuale.

Un esempio potrebbe essere quello della grelinette, un attrezzo che serve a praticare dei fori nel terreno per l’arieggiatura, al pari dell’arieggiatore elettrico cui abbiamo anche già accennato qui

Grelinette.

 

Inoltre esistono parecchi attrezzi rotanti a trazione umana, come il sarchiatore manuale a ruota, il ciclocoltivatore, il trinciasarmenti, il frangizolle e persino il tosaerba manuale

Frangizolle.

 

Molti di questi strumenti non sono nemmeno delle innovazioni: sono antichi strumenti agricoli, che forse i nostri nonni o bisnonni hanno usato, caduti in disuso dopo l’avvento del trattore. 

 

 

Per fortuna, l’ingegno umano non accetta facilmente le sconfitte e infatti moltissimi di questi attrezzi stanno venendo riesumati e perfezionati, per essere trasformati in qualcosa di più comodo ed efficiente, ma a impatto zero. 

Ma lavorare solo a mano è davvero possibile, o ci stiamo illudendo?

Il dubbio che sorge è lampante. Come può la loro dimensione ridotta di questi strumenti renderli competitivi rispetto all’uso del trattore, che realizza in un’ora il lavoro di venti persone? 

Però questa domanda potrebbe essere vista anche come: dobbiamo quindi rassegnarci all’uso del trattore, anche se siamo stati messi al corrente dei danni che provoca sul lungo termine?

Questa è una domanda importante che dobbiamo porci, così come lo sono le possibili risposte che possiamo darci. 

Inizia ad essere piuttosto chiaro ormai che in un futuro non molto lontano non sarà più possibile delegare così tanti ettari di terreno a così pochi gestori. Sempre più persone dovranno diventare custodi del suolo, lavorando il terreno al minimo al fine di conservarlo senza deteriorarlo. 

Allo stesso modo in cui nessuno prende i frutti da una pianta abbattendola, perché è così difficile immaginare di poter trattare il suolo alla stessa maniera?

Dopotutto, anche il suolo è qualcosa di vivo che può mostrare la sua fragilità se sottoposto a dei trattamenti impropri. 

Al momento non possiamo avere un quadro oggettivo sul nostro futuro, ma solo una fotografia della realtà che stiamo vivendo; dobbiamo forse sacrificare qualche nostra comodità di oggi, per stare meglio domani?

Una cosa è certa: questa crisi climatica ci lascia ogni giorno con più domande e con meno risposte, e questo è qualcosa che può essere tanto terrorizzante quanto stimolante per la nostra mente. 

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