
Ogni anno perdiamo 12 milioni di ettari di terre coltivabili: la produzione di cibo potrebbe essere messa gravemente in crisi nei prossimi decenni.
A suonare il campanello d’allarme è stato il JRC (Joint Research Centre), l’organo incaricato del monitoraggio ambientale all’interno dell’Unione Europea, con la pubblicazione del primo Atlante Mondiale della Desertificazione.
Secondo i dati raccolti, entro il 2050 la produzione di cibo a livello mondiale calerà complessivamente del 10%, ma naturalmente il fenomeno sarà più marcato in paesi come India e Cina e nella regione subsahariana.
Cosa avvia un terreno fertile alla desertificazione?
A differenza di quanto si potrebbe pensare, il fenomeno della desertificazione non include soltanto l’espansione delle zone aride naturali, come i deserti.
In realtà l’agricoltura contribuisce enormemente al fenomeno, dal momento che molti terreni, utilizzati come campi, perdono la propria naturale capacità di trattenere l’acqua, ovvero la sua capacità idrica.
Questa proprietà del suolo è mantenuta principalmente da due elementi: la sostanza organica e la vegetazione. Quando un suolo li perde, cominciano a manifestarsi i primi effetti della desertificazione, come la formazione di fessure nel terreno ed il ritiro della vegetazione.
Senza acqua non c’è vita e senza vita l’acqua non può essere trattenuta.
Le piante coprono il terreno e con la loro sola presenza lo proteggono dagli agenti atmosferici. Quando vengono rimosse il suolo resta esposto alle piogge e ai venti, questi elementi asportano le particelle organiche presenti nel suolo.
Inoltre, l’assenza di vegetazione altera i cicli degli elementi, il ciclo di decomposizione della sostanza organica e la formazione di nuovo humus.
Come possiamo fermare la desertificazione?
Per nostra fortuna, l’avanzamento del deserto è un fenomeno reversibile, anche se non facilmente.
La prima cosa da fare è garantire la presenza di acqua nel suolo, di sostanza organica e di copertura vegetale: ciò può avvenire, ad esempio, attraverso la progettazione mirata del territorio.
L’austriaco Sepp Holzer è forse il più importante rappresentante di questo modello agronomico.
La sua opera di ingegneria paesaggistica più famosa si chiama Krametherof e si trova nella regione del Longau, in Austria. Si tratta di una proprietà di 45 ettari, collocata tra i 1100 ed i 1500 metri di altitudine, nella quale Holzer ha realizzato circa 80 laghi e terrazze con lo scopo di rendere coltivabile il territorio montano.
Da questa esperienza è nato il suo progetto ‘Come Trasformare il Deserto in Paradiso’, che consiste nell’applicare il suo modello anche in quelle zone del mondo colpite gravemente dalla siccità e fortemente soggette alla desertificazione.
Fino ad ora i risultati che ha ottenuto sono stati tutti positivi: in presenza di acqua e vegetazione, il deserto è costretto ad arretrare.
Dal punto di vista ecologico, questo è perfettamente spiegabile: gli interventi di Sepp Holzer modificano il contesto microclimatico della zona interessata, in modo da coprire gli effetti del panorama climatico in cui essa è inserita.
La genesi del suolo nei deserti freddi
I deserti non sono ambienti diffusi solo nella fascia climatica tropicale, perché anche il circolo polare artico e quello antartico sono considerati a tutti gli effetti delle fasce climatiche soggette alla presenza di zone desertiche fredde.
In mezzo a sconfinate distese di neve, qualche volta la vegetazione trova un modo per colonizzare nuovi territori e ciò sembra, ad un primo sguardo, un fenomeno miracoloso.
Apparentemente la vegetazione della tundra artica sembra crescere direttamente sulla roccia, ma in realtà qui il suolo esiste e si forma regolarmente. Tuttavia, a differenza dei nostri ecosistemi, il principale agente di sviluppo del suolo non è la vegetazione, ma sono gli animali. Questo fenomeno è rappresentato molto chiaramente dal suolo ornitogenico, che si forma attraverso l’accumulo di piume, gusci d’uovo rotti e guano provenienti dai pinguini.
Il materiale organico presente nei nidi di questi uccelli è sufficiente a dare un substrato ai batteri che ne promuovono la decomposizione, creando un sottile strato di humus, il quale a sua volta viene colonizzato stagionalmente dalla vegetazione.
L’humus può fermare la desertificazione
Il particolare escremento solido dei pinguini, il guano, è il principale responsabile della pedogenesi nell’ambiente arido freddo.
Questo materiale è un fertilizzante organico molto ricco di azoto, di fosforo e di potassio: in natura si trova anche sotto forma di giacimenti formatisi in corrispondenza di antiche colonie di pinguini ed altri uccelli marini.
Le testimonianze archeologiche suggeriscono che questo materiale fosse conosciuto dalle popolazioni indigene delle Ande, che lo hanno estratto in piccole isole e punti al largo della costa desertica del Perù per utilizzarlo come ammendante del suolo per almeno 1500 anni.
Oggigiorno questo materiale è sempre più raro e la sua estrazione non è considerata sostenibile, soprattutto perché provoca spesso la distruzione permanente dell’habitat in cui viene estratto.
Ciò tuttavia non deve preoccuparci, dal momento che possiamo realizzare in modo completamente autonomo il nostro fertilizzante utilizzando gli scarti organici o i letami. Si tratta del vermicompost, un fertilizzante sostenibile al 100% dal comprovato effetto ammendante e biostimolante: l’ideale per combattere la desertificazione che avviene anche sul nostro territorio.